Questo libro me lo ha prestato Valeria, mia amica da sempre,
è una donna che ho sempre ammirato per la sua concreta disponibilità.
Con
leggerezza probabilmente ho immaginato che il suo presente agiato, un marito
dentista, tre figlie belle, magre, studiose, molti interessi e tante amicizie
facoltose , l’avessero preservata dalla sofferenza.
Non credevo che si
ritrovasse a doversi ancora confrontare con il ricordo della sua mamma suicida
nel lontano 1977.
Quando la settimana scorsa me lo ha dato mi ha rivelato che
non ha raccontato alle sue ragazze come è morta la loro nonna, gli occhi le si
sono inumiditi e mi ha chiesto di leggerlo per poterne poi parlare con me.
Era
uno di quei libri che non avrei mai pensato di leggere e mentre cominciavo a
scorrere le prime pagine effettivamente ho capito perché.
Non mi piaceva il
modo di scrivere di Gramellini, troppo giornalistico con frasi brevi, troppo
incalzanti, ma questa è una mia fisima.
La storia di questo bambino che rimane
orfano troppo presto, come se ci fosse un momento giusto per restare orfani, il
suo difficile rapporto con il mondo femminile , a dire il vero anche con quello
maschile, le difficoltà che trova a rapportarsi con un mondo poco materno, mi
hanno lasciata a lungo indifferente ed anche un po’ infastidita. Poco alla
volta però sono riuscita a comprendere meglio il vuoto che aveva intorno e, seppure
con una certa difficoltà, la fatica che ha fatto per diventare uomo.
Gli ultimi capitoli sono poi il nocciolo della storia :
-
La mamma non è caduta. E’ voluta cadere. –
-Solo il
perdono ti rimette in contatto con l’energia dell’amore.-
-Ci vuole
un’energia straordinaria per alzarsi dal letto ogni mattina con l’idea che la
vita sia una prova e vada affrontata, sempre.
Ed allora
sono tornata a pensare a Valeria, a quale strazio abbia vissuto.
Alla sua mamma
che ben conoscevo, elegante e sempre sorridente,
con gli occhi azzurri come un
cielo d’autunno.
Ed in rapida
successione mi è venuto in mente il mio papà che è rimasto orfano da ragazzo
perché i tedeschi invasori hanno ucciso il nonno Marco, reo di aver curato i
partigiani, con una sventagliata di mitra.
Il dolore del mio papà è stato
talmente devastante che non è mai riuscito a parlarne con noi figlie e nemmeno
a raccontarci qualcosa di suo padre, medico e benefattore ancor oggi ricordato
nel suo paese.
Credo che né
lui né Valeria abbiano mai perdonato ai loro genitori di averli lasciati senza
la loro guida vuoi per scelta vuoi per fatalità colpevole di altri.
Ogni
genitore cerca di dare tutto l’amore possibile ai propri ragazzi,
ma anche il
genitore è un uomo o una donna con i propri limiti e le proprie convinzioni.
Bisognerebbe essere capaci di comprenderle e perdonare
quello che ci sembra un
atto di viltà oppure un atto di inutile coraggio?
Mi sono
chiesta anche io avrei il coraggio di perdonare un abbandono così repentino e
comunque ingiusto?
Sono certa che non sarà facile parlarne con lei.